Gallarate - 06 ottobre 2023, 09:30

Il pediatra Antonio Giollo, medico da quasi 60 anni: «Mi capita di essere contattato dai pazienti di un tempo. Erano bambini, adolescenti. Si ricordano di me e io di loro»

La “vocazione”, quella frase del compagno di liceo a Busto Arsizio, i tanti anni di lavoro a Gallarate, il passato e il presente della Sanità, fra ospedali vecchi e nuovo. «Non è un mistero, ho firmato la petizione per il Sant’Antonio Abate. Che cosa direi, oggi, ai miei colleghi? Non demoralizzatevi, rincorrete il successo, cioè il bene dell’ammalato»

Il dottor Antonio Giollo

«E pensare che Gianni Tognoni mi disse: dovresti diventare prete!». Sono le prime parole che Antonio Giollo, il dottor Antonio Giollo di Gallarate, esclama con il sorriso sulle labbra quando gli si chiede da quanti anni sia medico. Il riferimento è a un compagno di studi, al liceo classico di Busto Arsizio, divenuto noto, fra le molte ragioni, per l’impegno all’Istituto Mario Negri. «Ho iniziato – risponde alla fine – dopo la laurea e il servizio militare. Sono del 1940 e al nosocomio di Gallarate sono arrivato poco dopo la metà degli anni Sessanta».

La sua voce e il suo racconto arrivano  in un periodo, per la Sanità, notoriamente attraversato da difficoltà ad ogni livello: nazionale, regionale e locale. Parla seduto a un tavolino della pasticceria Bianchi, interrotto con garbo dalle tante persone che lo riconoscono, lo salutano, scambiano una battuta. «Sono un pediatra. Entrare in contatto con i bambini, pensare alla loro salute, è un’esperienza impegnativa, importante. Così come avere a che fare con le famiglie. In più, i miei interessi mi hanno portato a studiare psichiatria. E neuropsichiatria infantile. Ricevetti anche una di quelle proposte a cui è difficile dire di no: passare all’università, a Milano. Ne parlai con il mio primario che disse: ti si aprirebbe una grande carriera, ma conosci il carattere dei cattedratici? Telefonai al professore che mi aveva chiamato e gli dissi che sarei rimasto a Gallarate. Mi appese in faccia. Forse il mio primario aveva ragione!». Altro sorriso.

Giollo restò, dunque, alla Pediatria del Sant’Antonio Abate e al suo studio, svolgendo anche attività di consulenza. «La neuropsichiatria – riepiloga – ti consente di entrare in un campo ancora più ricco. Devi tenere presente questioni come la responsabilità genitoriale, il contesto del nucleo familiare. Certo, ho curato tante influenze, tante patologie più o meno gravi, ma sono stato anche attento al problema psichiatrico evolutivo. Tutto questo è bello e difficile. Ti dà una carica...».

Quell’esperienza, totale, sarebbe ripetibile, nel contesto di oggi? «Professionalmente sì, per forza. Per il resto, non so. Per una questione di sistema, direi. Faccio un esempio. Non molto tempo fa, in centro, sono caduto, procurandomi una frattura al naso. Sono arrivato al Pronto soccorso di Gallarate e la dottoressa di turno è stata impeccabile. Sono state disposte radiografia, tac e risonanza, effettuate con la necessaria cadenza. Poi mi hanno mandato a Busto, da un altro medico, per i controlli. Chi mi ha seguito a Gallarate mi ha perso di vista. Ecco, qui c’è un passaggio per me importante: siamo sicuri che questi spostamenti siano positivi?».

Con una vicenda personale, Giollo tocca un tema dibattutissimo e ampio: quello dei servizi negli ospedali di Busto e Gallarate, fra chiusure, trasferimenti e progetto di una nuova struttura. Anche un’organizzazione del lavoro che rischia di essere un po’ a compartimenti stagni, a catena di montaggio. «Oggi mi capita di essere contattato dai pazienti di un tempo. Erano bambini, adolescenti. Oggi sono medici. Si ricordano di me e io di loro. Qualcuno mi ha chiesto consigli. Questo tipo di dinamica potrà avvenire ancora? Intendiamoci, è ovvio che lo studio, la formazione e le dinamiche lavorative erano e restano il fulcro nel lavoro di un medico. Ma, nelle esperienze che si accumulano, i contatti, le conoscenze delle storie personali, avranno ancora un senso?».

«Non è un mistero – prosegue - sono tra i firmatari della petizione per la salvaguardia dell’ospedale in cui sono cresciuto. E mi rammarica che la Pediatria, a Gallarate, non ci sia più. Funzionava benissimo, come altre realtà importanti.  Poi, sia chiaro, mi fido. Da paziente, seguo quello che mi viene detto di fare. Ma non nascondo che nutro perplessità, per come va la Sanità e per come potrebbe andare in futuro».

Allargando l’orizzonte: «La differenza principale in ciò che vedo oggi, rispetto ai miei tempi, è conosciuta ed evidente: mancano i medici. E, dal punto di vista dei pazienti e delle famiglie, mi dispiace vedere la gente più confusa nel fare scelte per gestirsi, per prendersi cura di un figlio. A volte, i tempi da mettere in conto per provvedere alla salute, propria o dei propri cari, sono difficili da accettare. Penso, poi, ai colleghi che operano in queste condizioni: ai carichi di lavoro, allo stress, alle responsabilità».

Quindi la situazione è peggiorata? «Al di là delle difficoltà “di sistema” devo dire che, nei miei campi, c’è stato un certo miglioramento dal punto di vista dello studio organico. Ma bisogna ancora crescere nel lavoro sulla psiche del bambino e nel supporto ai genitori. Le insicurezze poste dalla società aumentano. Se poi, passo al caso specifico dell’ospedale Busto/Gallarate, e al di là di quanto mi è recentemente accaduto, ho dubbi su temi che sono stati molto discussi, come l’ubicazione, la viabilità, i servizi che saranno erogati da adesso alla realizzazione del nuovo nosocomio. Immagino le difficoltà a cui, per forza di cose e in qualunque scenario, andranno incontro gli operatori».

Che cosa direbbe ai medici, ai pediatri di oggi? «Non demoralizzatevi, nonostante tutto. Mettete a frutto le vostre capacità professionali. Siate uniti verso l’unico e fondamentale successo: il benessere dell’ammalato».

Stefano Tosi