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Busto Arsizio | 15 settembre 2023, 15:23

VIDEO. Da macello a fabbrica della vita e dell’aggregazione

L’ex macello di Busto ha aperto le porte ieri sera a una conferenza che ha fatto il punto su storia, rigenerazione urbana, confronti con altre aree dismesse e riutilizzate e destinazione di una struttura che verrà adibita a spazi culturali, di formazione e aggregazione

VIDEO. Da macello a fabbrica della vita e dell’aggregazione

Tutto era partito durante le Giornate Fai 2021, quando la Delegazione Fai del Seprio aveva inserito l’ex macello di Busto Arsizio tra i "beni" di archeologia industriale bustese da presentare al pubblico per una salvaguardia negli anni a venire. Da allora l’attenzione si è acuita fino a sfociare nella conferenza di ieri sera che ha visto confrontarsi esperti del settore che hanno fatto il punto sulla storia e le future destinazioni del mattatoio di via Pepe.

Organizzata con l’appoggio della Delegazione Fai del Seprio, dell’Università Cittadina per la Cultura Popolare e del Gruppo Agesci Busto Arsizio 3, ha visto l’apertura già dalle 20.15 quando i cittadini hanno potuto visitare una struttura realizzata in città sul finire del XIX secolo per venire incontro alle esigenze alimentari di una popolazione in costante crescita. Non a caso venne scelta questa zona: si trattava di un’area allora periferica ma lontana dalle scuole e immediatamente adiacente alla linea Milano-Novara delle Ferrovie Nord Milano, inaugurata nel 1887.

La storia

La costruzione del Macello iniziò nel 1894 su progetto dell’architetto Camillo Crespi Balbi. Già nel 1910 si procedette ad alcuni ampliamenti ad opera dell’Ufficio tecnico Comunale, allora diretto dall’ingegnere Carlo Wlassics. In una pubblicazione del 1896 si precisava: “Il macello pubblico consta di due fabbricati principali (divisi in celle per diversi lavori) ai quali sono annessi fabbricato minori per abitazione del personale e altri servizi”. Più volte ristrutturato, è sempre stato comunque un impianto tecnologicamente all’avanguardia; è stato dismesso alla fine degli anni ’80, per essere più tardi adibito ad altre funzioni.

Un patrimonio di archeologia industriale

Ad aprire la serata, la vicesindaco Manuela Maffioli che ha precisato l’importanza di destinare uno spazio dell’ex macello per la cultura, dato che questa è «un fattore imprescindibile per la crescita dell’individuo e importante strumento economico che genera indotto. Busto non è una città turistica, ma dispone di un ingente patrimonio di archeologia industriale che deve essere recuperato e l’ex macello ha tutte le carte per entrare nel novero dei siti di cultura e aggregazione».

Ha ben contestualizzato nella storia l’ex macello, Carlo Magni, presidente dell’Università Cittadina, che ha ripercorso lo sviluppo socioeconomico di Busto Arsizio nella seconda metà del XIX secolo. Mentre sullo schermo scorrevano immagini della Busto del secolo scorso, si è soffermato sulla ferrovia del 1863, la nascita di strade, edifici, il boom degli anni 80-90 con la costruzione di industrie come la Milani, Venzaghi, Lualdi, Candiani, Grassi, la manifattura Tosi, il cotonificio Pozzi. Ha parlato dello spostamento della ferrovia perché troppo vicina al centro, “il più grande intervento urbanistico di tutti i tempi in città”, della tramvia, della nascita del teatro Sociale, del nuovo cimitero, delle scuole fino ad arrivare al 1895 con la costruzione del macello.

A questo punto la parola è passata a Roberto Albè, storico locale, che ha analizzato la nascita e lo sviluppo strutturale dell’ex Macello e presentato la figura dell’architetto Camillo Crespi Balbi, primo progettista.

I tre progetti presentati alla giunta

Ha toccato così i “regolamenti che imponevano alle città dei macelli” con la presenza del veterinario, i tre progetti presentati in Giunta e la scelta che era caduta sul progetto di Camillo Crespi.  «La Giunta però ha commesso un errore clamoroso – ha affermato – Ha chiesto a Camillo Crespi di ridurre il piano e di adattarlo al territorio. Il terreno apparteneva alla parrocchia di San Giovanni. Poi nel 1894 il bando di gara, nel 95 la gara d’appalto e l’anno dopo l’inizio dei lavori.
Dieci anni dopo l’amministrazione si è resa conto degli spazi ristretti, chiedendo un ampliamento». Tra il ‘23 e ‘24 viene stipulata una convenzione con il dottor Cerini che progetta la centrale frigorifera, la fabbrica del ghiaccio e la cella frigorifera». L’attività è poi proseguita fino agli inizi degli anni Ottanta quando i supermercati ne hanno decretato il collasso. A quel punto l’ex macello è stato adibito ad altri usi: ufficio postale, polizia, scout e altro. Albè ha completato l’intervento presentando la figura del progettista, Camillo Crespi Baldi, l’architetto di fiducia della famiglia Ottolini che tra l’altro aveva firmato il progetto del macello di Alessandria d’Egitto, Legnano (entrambe – strano destino - in via Magenta).

Dalla fabbrica della morte alla fabbrica della vita e dell’aggregazione


Renata Castelli, esperta e studiosa di Archeologia Industriale, ha quindi confrontato l’edificio bustese con analoghi e coevi edifici realizzati in altre città. «Dunque quella che un tempo era la fabbrica della morte – ha detto – è stata trasformata nella fabbrica della vita e dell’aggregazione». Ne sono esempi l’ex macello di Padova divenuto liceo artistico e planetario, Vignola trasformata in centro assistenza e di cooperative, Milano con il salone del mobile e tanti altri recuperi.

Le ha fatto eco Maurizio Rivolta, vicepresidente nazionale del Fai, che ha introdotto il concetto di ‘rigenerazione urbana’ con lo sguardo ad esempi italiani significativi e con le proposte del Fai in questo campo. «Rigenerare, ricucire, rivitalizzare partendo da situazioni di degrado – ha precisato – sono parole d’ordine. L’Italia deve fare i conti con il consumo di suolo: ha una percentuale altissima, soprattutto la Lombardia. Dunque che cosa fare per il riutilizzo e non il consumo del suolo? Occorre una ricucitura degli ambiti degradati, il riutilizzo di aree dismesse e piani energetici comunali». Hai poi citato l’esempio del pettinificio di Biella trasformato in un centro culturale, il bosco verticale di Milano, il centro polifunzionale di Düsseldorf in Germania, poi anche Casa Macchi a Morazzone recuperata per farne il racconto di una casa di paese.

Non meno interessante l’intervento di Enrico Gussoni, responsabile del Gruppo Agesci, che ha ripercorso la presenza degli Scout nella struttura e valutato il significato in termini sociali. Ha poi fatto da cicerone al folto gruppo di persone che hanno voluto “curiosare” alla scoperta delle caratteristiche storiche e architettoniche della struttura di via Pepe.

Laura Vignati

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