Un piccolo dettaglio o uno sguardo sbagliato in cui si nasconde il rischio di una caduta che, quando cammini in Paradiso, può scaraventare all’inferno. Dev’essere questo, o semplicemente la tensione di chi può vivere solo stando sempre sul pezzo, ad aver fatto uscire dal campo Beppe Sannino come una furia al termine della quarta vittoria consecutiva su quattro partite disputate dai suoi uomini verdi del Paradiso, indemoniato anche nella mimica quando deve trasmettere la sensazione di un pericolo che s’annida anche sotto le apparenze della vittoria. Nella mente (che non può staccarsi dalle gambe), nella pancia (che non può riempirsi dopo nemmeno un mese di campionato), nelle gambe (che non devono smettere di correre neppure al fischio finale). E così, come ci hanno raccontato i tifosi di Disabato e Sannino (cioè tifosi, semplicemente, di calcio e di quella Varese dove non esistono finzioni) presenti ieri all’1-0 sul Bruhl del più 2 sulla seconda e del +11 su quel Lugano U21 che attende ora i tuttiverdi, «Beppe alla fine voleva sbranarsi tutti».
«Giochiamo da squadra, con la testa e non molliamo mai. Abbiamo zero punti e davanti soltanto finali» diceva in maniera sanninania Donato Disabato, autore di un’altra prova totale e dell'assist per il gol decisivo di Giger, in sala stampa accanto al portiere Miodrag Mitrovic, un mostro d’esperienza e bravura di quest’avventura che fa tornare tutti bambini («Sono contento di giocare con questi ragazzi un po' pazzi, che in campo mi fanno "lavorare" ma che alla fine mi rendono ancora più felice. L'impronta del mister è l'arma in più per farci dare il massimo. Con lui lottiamo come matti e stiamo bene assieme» le sue parole-bibbia).
Intanto, a Verona, Sean Sogliano batteva la Roma dopo un’avventurosa partita, quelle dove conta solo soffrire, immolarsi e andare in battaglia: budget ancora più ridotto dopo la salvezza dall’ultimo posto, come se arrivati all’osso ci fosse ancora qualcosa da spolpare, giocatori pescati nel sottosuolo, da lontani confini o reinventati, spirito di gruppo da trincea, testa bassa, anzi altissima, troppa fame e sete di rivincita per potersi fermare a gioire o pensare al primo posto in A con una squadra data sempre per spacciata ma che, per ora, spacca pronostici e fa vincere solo il profumo del campo sui numeri dei conti in banca.
E poi dicono che nel calcio vince sempre il più forte. Se ti chiami Sogliano o Sannino, basta essere fedeli a se stessi, alla propria storia e ad antichi valori, ed esserlo sempre anche a costo di perdere tutto, perché attaccata alla vittoria ci sia una parola che pochi altri conoscono: l’ammirazione. E una domanda: ma come fanno?
Fanno così: credono in loro, credono negli altri come loro, credono di non dovere farsi cambiare dagli eventi e dalle cose facili. Credono che ci sia ancora un piccolo grande spazio per fare bene, in silenzio e con passione il proprio mestiere nel calcio dei raccomandati, dei leccapiedi, degli arrivati e degli arrivisti. E che il Paradiso possa esistere ovunque, basta cercarlo.