Varese - 05 agosto 2023, 14:25

Risvegliamo il gigante addormentato al Campo dei Fiori. La rinascita del turismo c'è, sfruttiamola per riaprire il Grand Hotel (FOTO)

A 55 anni dalla chiusura, è il momento di cogliere l'attimo: perché la proprietà, il Comune, la Camera di Commercio e gli imprenditori non si siedono a un tavolo per ridare vita a un gioiello unico che s'affaccia su uno dei più bei panorami d'Italia? Sempre più stranieri e visitatori arrivano in città e nei dintorni: la strada della mobilità sostenibile e della riapertura del secondo ramo della funicolare è percorribile

Il Grand Hotel Campo dei Fiori domina Varese dai primi del Novecento, fu chiuso nel luglio 1968. Il risveglio del turismo è un'opportunità da cogliere per risvegliarlo a nuova vita. Per le foto della gallery si ringrazia Fausto Brianza

Nel luglio del 1968 un altro “lutto” colpì la Varese del turismo un tempo d’élite, la malinconica chiusura del Grand Hotel “Campo dei Fiori”, dopo quella, avvenuta nel 1953, delle funicolari e del Teatro Sociale. Il lutto non è stato mai elaborato, e non c’è varesino vero che guardando verso la montagna non butti l’occhio verso la selva di antenne che ricopre il tetto dell’albergo, scuotendo la testa. A tutti noi manca la “cittadella del Sommaruga”, ciò che venne creato sulle ceneri dell’albergo “Paradiso” del signor Ciotti, con la stazione della funicolare, inaugurata nel 1911 assieme al magnifico ristorante “Belvedere” e, l’anno successivo, il Grand Hotel “Campo dei Fiori”, tutto edificato nel giro di quattro anni, cosa impensabile oggi in un tempo di cantieri eterni.

Ci manca talmente, che quando i giovani del Fai decisero di chiederne alla proprietà l’apertura per visite guidate, alle porte dell’albergo si precipitò una folla di persone di tutte le età. L’edificio, depredato di quasi tutte le sue bellezze liberty, conserva comunque un fascino unico ed è diventato una sorta di totem, il simbolo di un’epoca felice in cui Varese era un polo turistico d’eccellenza non soltanto per i milanesi ma anche per la società cosmopolita del tempo, grazie alla bellezza del paesaggio, alla salubrità del clima e ai perfetti servizi di trasporto, con ferrovia, tramvia e funicolari funzionanti come orologi.

«Faremo a tempo a vedere il Grand Hotel riaperto, a mangiare al “Belvedere” arrivandoci in funicolare?», si domandano preoccupati i più anziani, mentre i giovani non riescono neppure a immaginare come fosse il Campo dei Fiori della Belle époque o almeno quello fino al dopoguerra.

Noi che scriviamo, abbiamo vergato millanta articoli sulla possibile anzi probabile, anzi quasi certa ma magari non subito, riapertura del colosso del Sommaruga, che è ancora là ferito ma non domo, a guardare uno dei più bei panorami d’Italia, lo stesso che stregò Stendhal. Ora il nostro giornale vuol farsi promotore di un’idea: perché la proprietà, il Comune, la Camera di Commercio, gli imprenditori, non soltanto del territorio, non si siedono a un tavolo e finalmente discutono di un progetto concreto per ridare vita a ciò che la Società Anonima Grandi Alberghi Varesini pensò in quel lontano 1908?

A 55 anni dalla chiusura, l’hotel, che contava duecento stanze, delle quali un terzo con bagno e telefono (poi ridotte a un centinaio), e si sarebbe con gli anni dotato di american bar, sala concerti e conferenze e sala ristorante panoramica, potrebbe davvero riaprire i battenti, visto il risveglio del turismo a Varese e dintorni, con l’afflusso di visitatori da altre città italiane ma anche di molti stranieri, attirati dalle gare di canottaggio e da quelle ciclistiche, dalla rinascita degli sport su ghiaccio e naturalmente dalle bellezze architettoniche e paesistiche, di cui il complesso Sacro Monte-Campo dei Fiori è un gioiello unico.

Per fare un esempio, alla Location Camponovo di Santa Maria del Monte è in corso una piccola rassegna di mostre d’arte, e quella che si è conclusa domenica 30 luglio ha avuto un afflusso record di visitatori, con turisti inglesi, svizzeri, belgi, francesi, olandesi, ucraini, giapponesi, cinesi, statunitensi, sudamericani, di varie parti d’Italia e della nostra provincia, a dimostrazione di come basti una minima attrazione per risvegliare la voglia di scoperta e di condivisione, anche nel caso di un turismo di prossimità.

Certo, ridare al Campo dei Fiori l’allure inizio ‘900 non sarà impresa facile, ma Varese sta dimostrando di saper fare squadra, storicamente soprattutto nello sport, ma non è detto che lo stesso spirito non faccia capolino per far partire una rinascita turistica del nostro territorio, visto che eventi come i campionati mondiali di canottaggio, la Gran Fondo di ciclismo, o la fame di ghiaccio portano un indotto di visitatori che riempiono ristoranti e alberghi come da anni non si era visto.

La nostra montagna merita qualcosa in più della consueta Festa degli Alpini di Ferragosto, peraltro lodevolissima, occorre ripensarla facendo tesoro degli errori passati, creando innanzitutto una mobilità sostenibile, con parcheggi a valle, ripristino totale delle funicolari e navette elettriche che raggiungano il Sacro Monte e il Campo dei Fiori. Non si incentiva il turismo poi facendo pagare carissimo il parcheggio al Sacro Monte il sabato e la domenica e costringendo gli utenti ad arrivare con la moneta contata al parchimetro che non dà resto, senza la spiegazione scritta almeno in inglese e francese. Molti turisti stranieri, infatti, perdono minuti a cercare di capirne il funzionamento o a rimediare le dannate monetine da inserire, ascoltando spesso anche le male parole dei gestori di bar e chioschi a cui chiedono il cambio del denaro.

Sono i particolari a fare la differenza, e sarebbe ora che gli imprenditori varesini si convincessero che il futuro passa attraverso un’adeguata accoglienza, a strutture al passo con i tempi, per permettere la “transizione turistica” da quella industriale, salendo finalmente su un tram che può condurre lontano, dopo averne persi a decine.

Da decenni, infatti, si discute inutilmente sul ripristino del Grand Hotel “Campo dei Fiori”: si è parlato di casinò, di centro congressi, sede di una beauty farm di Messegué, di una clinica come di un campus universitario, perfino di una scuola di polizia leghista, come disse Bossi ai tempi del suo ministero. Ora è tempo di voltare pagina e passare dalle parole ai fatti, perché finalmente, la prossima volta, vorremmo scrivere dell’inizio dei lavori alla stazione della funicolare o al ristorante “Belvedere” dove, a pochi giorni dall’inaugurazione del 30 aprile 1911, arrivarono in delegazione i giornalisti lombardi a documentare la nuova meraviglia, come testimoniò il cronista De Simoni nel numero di giugno della rivista “Ars e Labor” di Casa Ricordi.

 

Mario Chiodetti