«Questa ormai è casa nostra. Mia, del piccolo Alexander, di mia moglie Beatrice. Varese è diventata la nuova New York o la nuova Bologna (città natale della moglie ndr) per noi».
Dubbi veri, o quantomeno fondati, non è che ce ne fossero davvero. Però il contesto va inquadrato per quello che è, senza fette di salame da mettere sugli occhi nel tentativo di oscurare qualcos’altro: quanto è accaduto nell’ultimo mese di vita della Pallacanestro Varese è stato un fulmine capace di tangere nel profondo la parabola di ogni biancorosso, in campo come fuori.
Il caso Tepic e i relativi risvolti giudiziari hanno infranto traguardi sportivi già raggiunti, hanno ritardato piani professionali già programmati, hanno distrutto il lavoro di tante persone e costretto le stesse ad accettare ciò che davvero non è mai facile da accettare: pagare in silenzio per colpe altrui.
Nel novero, senza ombra di dubbio, c’è anche Michael Arcieri.
Il quale, però, con la frase riportata a inizio articolo e pronunciata ieri a margine della festa di fine stagione in piazza Monte Grappa, ha dissipato ogni dubbio relativo al proprio futuro. E lo ha fatto con una dichiarazione d’amore nei confronti di Varese che mette i brividi.
«Sì, farò ancora parte di questa famiglia. E fra un anno da oggi sarò ancora in piazza Monte Grappa, sperando di poter parlare di cose positive». Cioè di playoff giocati, non guardati alla tv.
Perché i brividi? Perché quando ti accorgi che un luogo e la sua gente sono riusciti a penetrare così in profondità in un cuore straniero, tanto da indirizzarlo sulla strada che in quel luogo torna e tornerà, invece che prenderne mille altre possibili e ben più importanti, beh… a chiudersi è un cerchio perfetto. In cui si è dentro tutti.
Arcieri, come Scola, chissà se anche come Matt Brase, rilanciano con il Sacro Monte e non con l’NBA o con l’Eurolega, cui potrebbero ambire, per status così come per network a loro disposizione. Merito anche di attimi che in un'estrinseca semplicità sanno però essere catartici, cardinali, dirimenti: «L’abbraccio dei tifosi prima della partenza per Trieste è stato qualcosa di inspiegabile - ha continuato il gm americano - Non so quando è stata l'ultima volta che ho pianto... La reazione che hanno avuto i ragazzi alla questione penalizzazione, fatta di grinta e cuore, è nata in quel momento. Non penso di poter vivere più un frangente così, di amore perfetto tra tifosi e squadra».
Qui l'intervista: