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Storie | 30 ottobre 2022, 15:19

L'OMAGGIO. Da Quinto a Zei e quella Varese poco snob dove i tranci di pizza scottavano le dita con il calore dell'umanità

La scomparsa a 86 anni di Sauro Zei, profeta della tavola calda che allungava i tranci avvolti da carta oleata da dietro il bancone di via Morosini, s'accompagna alla chiusura di "Campigli" in viale Belforte: da loro si entrava anche soltanto per simpatia e passaparola. Oggi basta un’app e a casa arriva ogni ben di dio. Ma vuoi mettere il profumo di origano e mozzarella fusa e il calore della fetta che scaldava le mani, quando fuori (ancora) nevicava?

Tutto iniziò al bar tavola calda “da Quinto”, all’angolo tra via Mazzini e via Manzoni: il fondatore Quinto aveva incominciato come ambulante, andando con il carrettino davanti alle scuole e per le vie di Varese a vendeva tranci di pizza e altre bontà (foto Oprandi)

Tutto iniziò al bar tavola calda “da Quinto”, all’angolo tra via Mazzini e via Manzoni: il fondatore Quinto aveva incominciato come ambulante, andando con il carrettino davanti alle scuole e per le vie di Varese a vendeva tranci di pizza e altre bontà (foto Oprandi)

Lo confesso, non ho mai mangiato la pizza “da Quinto”. Un po’ perché non amo la pizza al trancio, un po’ perché da scolaro percorrevo altri itinerari - le medie alla “Gorini” di Bosto e il liceo al “Cairoli”, ma lì venivo blindato all’uscita nella 126 di mia madre - quindi niente camminata con i compagni da scuola a casa e morsicata di “Margherita” prima di sedermi a tavola. Da adulto, purtroppo, ogni tipo di pizza mi è indigesto, così della rivendita di via Morosini ho solo il ricordo del suo perenne affollamento quando ci passavo davanti, il forte profumo di origano che arrivava dal fondo e la sagoma di Sauro Zei che allungava i tranci avvolti da carta oleata da dietro il bancone, antesignano del take away che tanto fa fine oggigiorno.

L’anagrafe non mente, e così, nell’apprendere della sua scomparsa a 86 anni, non posso non ricordarmi bambino, nei primi anni ’60, quando mio nonno Felice mi portava con sé “a provved” al mercato di piazza della Repubblica, dal fruttivendolo Francesco Longo, indimenticabile per me perché mi regalò alcuni numeri del “Comandante Mark”, il fumetto che accompagnò la mia infanzia e adolescenza e mi è caro ancora oggi. La mente va allora al bar tavola calda “da Quinto”, all’angolo tra via Mazzini e via Manzoni, il muro dall’intonaco bianco, le pubblicità della Pepsi Cola e le indimenticabili tendine di plastica, il cui fruscìo nell’entrare è scolpito nella memoria come una musica simbolo di quegli anni.

Purtroppo la pizza non è mai stata di casa, e il nonno non entrava “da Quinto”, ma mi comperava il gelato al Bar Firenze proprio di fronte, dopo aver fatto acquisti al forno Clerici e dal pescivendolo a fianco del bar di Sauro Zei, il cui interno rimase per me sempre un mistero. So per certo però, che papà, impiegato al Credito Varesino di via Vittorio Veneto, quando era alle prese con gli straordinari per i famigerati “Gs2”, oscuri moduli che lo facevano andare in bestia, non passava da casa per pranzo ma andava con i colleghi proprio “da Quinto” a spizzicare una pizza e una fetta di castagnaccio e poi a bere il caffè al Siberia, dove Alfredo Catalani alla fine dell’800 giocava al bigliardo.

Quella era la piazza Repubblica dei “marossée”, i sensali delle vacche che il lunedì mattina contrattavano i prezzi di vendita, mettendo d’accordo - non sempre - venditore e compratore, del mercato con mille voci, del Bertoni delle moto, del “sumenzatt”, della “casbenatta” con uova e verdure seduta davanti al “Firenze”, del profumo dei tigli che allietavano la via Magenta, con l’edicola sull’angolo dove il nonno comperava “Corriere”, “Prealpina” e l’“Oggi” per la nonna. La Varese così ben raccontata a suo tempo da Speri Della Chiesa nelle splendide pagine de “I nostri buoni villici”.

Sauro Zei fu il profeta della tavola calda, ma il fondatore Quinto nel 1939 aveva incominciato come ambulante, con il carrettino, come raccontano anche le straordinarie immagini dei venditori della Milano inizio ‘900, i “castagnatt”, quelli “dei peri cotti”, e del “caffè del genoeucc”, che si beveva appoggiando il bicchierino al ginocchio. Lui andava davanti alle scuole e per le vie di una Varese meno snob di quella odierna, e vendeva tranci di pizza e altre bontà, e intanto metteva da parte il capitale per aprire il bar in via Manzoni e poi altre due rivendite a Biumo e a Como, prima di trasferirsi nell’ultima sede di via Morosini, dove un tempo c’era il salumaio Giorgetti, per le cui polpettine di pollo avrei dato in cambio le mie macchinine più belle.

Una vita di lavoro quella degli Zei, parallela alla crescita di diverse generazioni di varesini che entravano “da Quinto” anche soltanto per simpatia e passaparola, per fare due chiacchiere scottandosi le dita per il calore della pizza appena sfornata e leccandole poi per far andare via l’olio. “Quinto” era la salvezza quando non si aveva niente in casa e arrivavano gli amici all’improvviso, era un angolo pulsante di via Morosini quando ancora esistevano la merceria Brumana, il Bernasconi, il Molteni elettrodomestici e il Cima, testimoni di una Varese delle botteghe e del «buongiorno signora, cosa le do?» ormai scomparsa quasi del tutto.

La Varese di Sauro Zei e di chi come lui ha creduto nel lavoro e all’istinto, al modello americano della tavola calda, allora quasi sconosciuto da noi, e poi della pizza al trancio, economica e buona per ogni stagione. Oggi per gustare un pezzo di pizza al trancio si deve andare in via Carrobbio, sparito il negozio "Campigli" di viale Belforte (leggi QUI) e quello di Zei, in via Morosini fino al 2015 e poi diventato Chips House, spaccio di patatine e hot dog e sempre meta dei ragazzi all’uscita di scuola. Del resto per mangiare oggi basta un’app, un colpo di telefono e a casa arriva ogni ben di dio. Ma vuoi mettere il profumo di origano e mozzarella fusa e il calore della fetta che scaldava le mani, quando fuori (ancora) nevicava?

Mario Chiodetti

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