Ha 27 anni, Antonio Aspesi, quando fonda l’azienda che porta ancora oggi il suo nome a Busto Arsizio. Dopo l’esperienza in un’altra impresa, aveva appreso quanto basta per coronare un sogno: mettersi in proprio. E ancora di sogni oggi si può parlare, anche se il tessile attraversa battaglie continue e oggi viene scosso con vigore dalla tempesta energetica. O meglio, più che di sogno il nipote Roberto Belloli preferisce parlare di piacere: quello di fare il proprio mestiere.
«Lo spirito non è proprio lo stesso – sorride – allora era quello imprenditoriale, nato dal nulla con davanti il mondo da ricostruire. Oggi il mondo lo dobbiamo risanare. L’aspetto comune è però sempre avere un’azienda, la responsabilità di tante persone, e fare ricerca e sviluppo per cambiare. Per ridare lustro a questo territorio». Un lustro che passa dal difendere le filiere, tesoro minacciato.
Con l'aiuto di Benigno
L’attività nel ’33 esordisce con la lavorazione di dipanatura e roccatura del cotone, greggio e colorato, per conto di terzi, in via Leonardo da Vinci, proprio a fianco della chiesa dei Frati.«Il nonno era una persona semplice, ha chiesto i soldi a Benigno Airoldi… e glieli ha dati perché conosceva il padre, faceva il fattorino alla Banca Alto Milanese: quindi era degno di fiducia». Una storia che si ripete, perché Airoldi aiutò tanti giovani: la Banca fu fondata esattamente 100 anni fa. LEGGI QUI Lui poi restituì alla città perché fu un grande benefattore.
Antonio Aspesi voleva infatti mettere un macchinario piccolo ma innovativo, che avrebbe innescato un notevole sviluppo. Negli anni Settanta, Ottanta si raggiunse il clou del personale, circa 65 persone. «Attualmente siamo 30 – spiega Belloli – Tutto quello che era l’originario ragionamento, la parte legato alla fodera e all’abbigliamento, oggi è diventato una percentuale molto piccola. Si lavora nell’ambito dei prodotti tecnici, dispositivi di protezione. Filati tecnici con impieghi industriali, paracaduti, nastri trasportatori e qualcosa nell’aerospazio».
Made in Italy: è un tasto delicato da affrontare con Belloli, che lanciò oltre dieci anni fa il movimento dei contadini del tessile per snidare questo tema. «Noi trasformiamo – spiega – abbiamo ad esempio un fornitore israeliano e alcuni nostri clienti ci fanno lavorare solo con importatori, ma tutto quello che lo facciamo, lo facciamo qui». Non molto distanti da dove tutto iniziò, adesso si è in via Cellini.
Tra tante difficoltà, perché si continua? «Fa parte della filosofia della nostra famiglia – spiega Roberto, al suo fianco il fratello Antonio che segue la parte produttiva – Il nonno ci ha sempre insegnato che le aziende sono la ricchezza del territorio. Ci sono trenta famiglie che dipendono da noi: dentro abbiamo anche la terza generazione, ovvero giovani i cui nonni già lavoravano qui».
Il sogno e la filiera
L’azienda è anche strategica per la filiera, visto l’impoverimento di realtà simili, e Belloli auspica - «è la fantasia di un sognatore» - di integrare delle filiere per farle diventare ancora più importanti: «Non rimanere degli highlander… Ed è una sfida perché i grossi gruppi hanno fatto shopping a costo zero per i marchi che valevano ancora qualcosa. Oggi la vera problematica è riuscire ad avere una filiera più coesa e integrata, che faccia rete di impresa e riesca a ridistribuire il margine».
E poi c’è ancora quel piacere che si avverte: «È gratificante trovare nuovi mercati, nuovi prodotti, nuove realtà. Fare innovazione. Noi da sempre cerchiamo di essere sostenibili, abbiamo ridotto l’uso dell’acqua e raggiunto tutte le certificazioni con l’impianto di cogenerazione. Tutto questo fa parte del piacere di avere un’azienda che sia in una logica più ambientale. Non abbiamo scarichi, né in fogna, né atmosferici».
Fra nonno Antonio e Roberto, c’è stata un’altra figura importante: papà Angelo, scomparso pochi mesi fa. «Era il trait d’union tra me e il nonno, veniva a sua volta da una storia industriale, quella di suo padre. Un’azienda che era rimasta legata al tarlisu. È stato un uomo di transizione».
Qual è l’eredità che ha lasciato Antonio Aspesi all’azienda? «Lui era molto religioso e aveva una grande fiducia nel futuro – racconta Roberto Belloli – Era una persona serena e questo ci ha lasciato, la fiducia. Se credi qualcosa, fallo. Abbiamo attraversato anche periodi brutti, ma la famiglia ha sempre fatto investimenti sull’azienda, con la certezza di poter andare avanti. Ho visto tanti colleghi gettare la spugna, la nostra famiglia ha scelto di mettersi in gioco per andare avanti. Oggi abbiamo superato quel periodo e vorremmo anche trovare personale… non è facile però. Poi vorremmo trovare una filiera più collaborativa. Ancora oggi io sono in mezzo… devo lottare con il fornitore e con il cliente. Il desiderio è riuscire a integrare una filiera da monte a valle che ridistribuisca il reddito e finalmente crei economia reale».
Ecco qui il sognatore, «fa parte del piacere di fare questo mestiere, mi permetto il lusso di sognare. L’azienda mi ha dato la possibilità di conoscere mercati, persone, realtà non solo italiane. Solo un sogno, ti protegge».