Busto Arsizio - 30 aprile 2022, 10:53

L’Ardor Busto piange Luciano Andreolli. Giocatore, allenatore, pilastro della società

Aveva 75 anni. Come i fratelli Nello e Italio, ha scritto pagine importanti della storia della compagine di via Bergamo. «Un punto di riferimento, persona buona e disponibile», dice il presidente Meraviglia

Addio a Luciano Andreolli, pilastro dell’Ardor, di cui è stato calciatore, allenatore e dirigente e di cui resterà per sempre una bandiera.
Aveva 75 anni. I funerali si svolgeranno lunedì 2 maggio alle ore 11 nella chiesa parrocchiale di Sant’Edoardo.

La sua famiglia è legatissima ai colori azzurri: anche i fratelli Nello e Italo, infatti, hanno scritto pagine importanti della storia della società di via Bergamo.
Luciano lo ha fatto prima come grande goleador, poi come allenatore: un tecnico ma anche – o forse soprattutto – un educatore per i suoi ragazzi, ai quali ha tramesso i valori più profondi dello sport.

Lo ricorda commosso il presidente dell’Ardor, Alessandro Meraviglia :«Luciano per me è stato un fratello maggiore – spiega –. L’ho conosciuto quando giocava in prima squadra. Lui era il centravanti, io lo stopper: quando facevamo gli allentamenti insieme, siccome lui era molto bravo, dovevo “picchiarlo” per fermarlo. Ogni tanto si lamentava delle botte che gli davo», ricorda con un sorriso che allevia per un istante il dolore.

«È stato un personaggio enorme per l’Ardor, una figura fondamentale per tutti noi cresciuti in quel periodo. Ha fatto da punto di riferimento. Ed è stato poi allenatore e dirigente, e ha avuto un ruolo importante per la continuità della società all’interno dell’oratorio: il legame tra Ardor e parrocchia ha il nome di Luciano Andreolli».

Meraviglia lo ricorda come «una persona buona e sempre disponibile. Quando c’era qualche piccolo battibecco, come può capitare all’interno di una società, lui portava sempre la quiete».

«Una figura storica – prosegue – come i fratelli Nello (che fu allenatore e presidente) e Italo (giocatore e allenatore) ha dato tantissimo all’Ardor. Loro tre avevano un rapporto speciale con i ragazzi: non era solo una questione calcistica, ma educativa e sociale».

R.C.