Lettera aperta di Gianni Lucchina, segretario generale di Aime, sull'emergenza Coronavirus e sulle conseguenze nei confronti di molti lavoratori, sull'atteggiamento schizofrenico di chi, in politica, è chiamato a fare delle scelte a qualsiasi livello e magari rincorre pure la visibilità, e su quello dei sindacati che proclamano scioperi per alcune categorie mentre altre perdono il posto o le piccole aziende chiudono, e sulla mancanza di equilibrio - nella distribuzione dei sacrifici - tra settore pubblico e privato.
Oggi siamo di fronte ad un periodo difficile ma da molti ancora sottovalutato per la sua gravità. Pensavamo, ingenuamente e in maniera forse troppo disinvolta, che l’estate avrebbe portato via con sé i problemi causati dall’emergenza Covid 19 e che la situazione non si sarebbe più ripresentata nella fase autunnale.
Cosi non è stato, e certamente oggi ricoprire un ruolo decisionale di Governo non è facile e richiede senso di responsabilità e pacatezza, ma anche autorevolezza e determinazione sia sul versante della salute pubblica che dell’economia.
Per il nostro Paese è fondamentale (ne va del futuro dei nostri figli e nipoti) che siano attuate con la massima concentrazione, rigore e velocità tutte quelle politiche di riforma e di sostegno alla tenuta ed allo sviluppo economico.
Fa una certa rabbia quindi assistere ai continui balletti e battibecchi tra Governo e Regioni: il Governo decide di chiudere e le Regioni protestano, lo stesso Governo allenta le misure e le Regioni chiedono più severità.
Addirittura abbiamo assistito a dichiarazioni in cui, mentre si proponevano di chiudere le scuole, si presentava allo stesso tempo l’idea di mantenere aperti alcuni luoghi dove il contagio si è dimostrato più frequente.
Ancora più deprimente assistere ad un dibattito politico surreale di fronte ad un tale dramma sanitario ed economico: a Roma parlano di rimpasto, elezioni, nuovi premier.
In una situazione del genere di tutto si dovrebbe discutere, tranne che di poltrone o di alchimie organizzative, tutti si dovrebbero rimboccare le maniche cercando i migliori strumenti per affrontare questa fase delicata.
Il Paese ha bisogno di atteggiamenti e scelte coraggiose, coerenti e praticabili.
Certamente anche noi cittadini dobbiamo essere coscienti di questa situazione e collaborare con comportamenti responsabili.
Curiosamente invece stiamo assistendo a comportamenti incomprensibili come quelli di categorie lavorative che indicono scioperi per aumenti di stipendio o per rinnovo dei contratti, a fronte di centinaia di migliaia di lavoratori che rischiano di perdere il lavoro e migliaia di piccole e medie imprese che rischiano di non riaprire più.
Siamo di fronte a situazioni schizofreniche che mettono a rischio anche la tenuta sociale.
Ai ristoratori, ai barman, agli albergatori, ai negozianti si è imposta e si impone la chiusura dei loro esercizi erogando sussidi quasi sempre insufficienti per mantenere in vita le attività; i dipendenti delle aziende private hanno subito e subiscono la cassa integrazione con una conseguente riduzione dello stipendio; i professionisti hanno avuto ed hanno un drammatico calo delle richieste di prestazioni e quindi del loro fatturato; nel contempo i dipendenti degli apparati pubblici o per lo meno una parte di essi, naturalmente con esclusione di chi è impegnato nella sanità, sono stati e sono obbligati a lavorare da casa, il più delle volte con scarsi risultati di efficienza, non essendoci le condizioni tecnologiche, formative ed organizzative pronte per poterlo fare.
Comunque, in tutto questo periodo questa è l’unica categoria che è stata regolarmente retribuita come se non ci fosse in atto alcun problema.
Ciononostante alcuni sindacati di categoria, non contenti, hanno proclamato scioperi per il rinnovo del proprio contratto di lavoro e per rivendicazioni salariali.
Davvero è stato triste che di fronte alla tragedia che il Paese sta vivendo ci sia chi è sceso in piazza per chiedere aumenti di stipendio, sicuro però che il proprio posto di lavoro non è stato, non è e non sarà mai messo in discussione.
E’ necessario dunque porsi qualche domanda.
Queste rivendicazioni sacrosante in tempi normali, sono una cosa giusta anche in tempi di una crisi epocale? Ed i diritti/doveri dei lavoratori non dovrebbero essere universali, quindi uguali per tutti? Perché in assenza della possibilità del lavoro in presenza o del lavoro agile per i dipendenti pubblici, non prevedere anche qui la cassa integrazione? E perché non chiedere con forza nuove assunzioni e la realizzazione di una vera e definitiva digitalizzazione del sistema Stato?
Forse in tempi di emergenza, anche da parte sindacale sarebbe doveroso adottare criteri di maggiore cautela e solidarietà.
E’ necessario infine cercare e trovare un equilibrio tra pubblico e privato distribuendo però su tutti il fardello dei sacrifici, anche su chi oggi è chiamato a governarci a qualsiasi livello e a dettare le scelte.
A questi ultimi, una preghiera: le proprie energie le dedichino per i cittadini e non per sterili polemiche e per ricerca spasmodica di una insaziabile visibilità.
Gianni Lucchina, segretario generale Aime