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Basket | 28 luglio 2020, 14:39

10 ANNI DI CONSORZIO/4. «La Pallacanestro Varese è un bene "pubblico", chi l'aiuta restituisce qualcosa al territorio. Nel 2017 corremmo un grosso pericolo...»

Fabrizio Fiorini, consorziato della prima ora: «Nel 2017 il Consorzio ha reperito 613 mila euro in fretta e furia per ripianare il debito. Mai avuto nulla da giocarmi se non la sopravvivenza della società: per il suo bene abbiamo mantenuto il 100% delle quote. La vittoria più bella? Contro Cremona. Ferrero uno di noi. Quella volta che fui costretto a licenziare Wright...»

Fabrizio Fiorini con Nicola Natali

Fabrizio Fiorini con Nicola Natali

Se c’è una persona che è felice di festeggiare il decimo anniversario di Varese nel Cuore, che si celebra domani, è proprio Fabrizio Fiorini. Per il suo bel carattere, che lo porta sempre a vedere il passato come un insegnamento e il futuro come un’opportunità, e per ciò che l’esperienza da consorziato gli ha consentito di vivere: un cursus honorum che lo ha traghettato fino alla poltrona da amministratore delegato della Pallacanestro Varese, occupata dal maggio 2016 a settembre 2017. 

Un’esperienza tosta, difficile, richiedente enormi sacrifici e corrispondente a uno dei periodi più gravosi dell’era moderna della società. Un’esperienza che il nostro rivivrà nelle prossime righe, insieme a tutto ciò - di bello, di brutto, di complicato, di salvifico - che l’epopea di Varese nel Cuore ha portato con sé. In nome di che cosa? «Del senso di appartenenza». E, allora, iniziamo proprio da qui.

È quindi il senso di appartenenza la vera “moneta di scambio” per un imprenditore che sceglie di sposare la causa del Consorzio?
Lo dovrebbe essere per tutti coloro che sostengono la Pallacanestro Varese. Che sia tramite il Consorzio, tramite il Trust o tramite una sponsorizzazione, chi mette lì qualcosa lo deve fare per passione, per sentire la società come qualcosa di suo. È una sensazione che ti riempie, al di là dei problemi che ci si trova ad affrontare.

Puntare solo sulla passione, però, non è un “modello” superato? In fin dei conti il numero delle aziende in Varese nel Cuore si è complessivamente ridotto negli ultimi anni (tuttavia, sono appena state annunciate tre nuove entrate: leggi QUI)…
Non è sbagliato il modello, è stata semmai sbagliata la strategia comunicativa: la mia idea è che Pallacanestro Varese non sia riuscita negli ultimi anni a comunicare in maniera adeguata, a un territorio ricco e pieno di possibilità come quello della provincia di Varese, l’urgenza e l’importanza di occuparsi della sua causa. Quello spirito che nel 2010 aveva smosso le acque e portato alla creazione di Varese nel Cuore si è un po’ perso per strada. D’altro canto, ogni imprenditore di questo territorio dovrebbe sentire il dovere di restituire qualcosa di ciò che ha avuto attraverso Pallacanestro Varese, come si fa - per esempio - per la ristrutturazione di un bene pubblico o per un progetto inerente il Sociale.

Sempre negli ultimi anni non si è tuttavia un po’ “rinunciato” a trovare nuovi consorziati, per cercare di percorrere invece altre strade che portassero comunque risorse? Penso agli sponsor e al “socio forte” da affiancare a Varese nel Cuore…
Un fondo di verità c’è ed è stata una questione di priorità: il cda di Varese nel Cuore è stato soprattutto impegnato nel reperire fondi che servissero a tenere in vita la Pallacanestro Varese: non importava sotto che forma arrivassero, tutti contribuivano allo scopo. È stato dunque inevitabile distogliere parzialmente l’attenzione dalla ricerca di nuove aziende aderenti, anche se alcuni passaggi in tal senso sono stati fatti: allentare il vincolo di adesione da tre anni a uno, per favorire le nuove entrate, e tornare a organizzare iniziative che coinvolgessero la base. Finora, tuttavia, non sono arrivati grandi risultati.

La tendenza potrà cambiare nel prossimo futuro?
Per poter gestire da solo la Pallacanestro Varese, garantendone non solo la sopravvivenza, ma anche un salto di qualità che le permetta di competere stabilmente nelle prime posizioni della classifica, Varese nel Cuore dovrebbe arrivare a raggruppare più di cento consorziati. Tutti veri o con cambi merce utili…

…E come ci si potrebbe arrivare? Con i risultati sportivi? Allettando le aziende potenziali aderenti con possibilità di business interne al Consorzio? 
I risultati sportivi di certo non bastano, anzi: i momenti peggiori, a livello di reperimento risorse, li abbiamo vissuti dopo la stagione degli Indimenticabili e dopo Chalon. Il business, invece, è un aspetto importante e una realtà esistente in Varese nel Cuore: non sono poche le imprese che grazie all’appartenenza al Consorzio hanno potuto realizzare buoni affari e aumentare la propria visibilità. Di strade per crescere, insomma, ne abbiamo provate diverse, ma tanti potenziali attori-imprenditori che avrebbero anche interesse a godere di una certa visibilità, rimangono sotto traccia.

Via, quindi, al socio forte, insomma. Il problema è trovarlo…
Questi primi 10 anni di vita ci sono in sintesi serviti a capire che Varese nel Cuore può, da solo, mantenere in vita la società, ma non proiettarla in una dimensione più alta dell’attuale: per raggiungere tale obiettivo c’è bisogno di qualcuno che affianchi il Consorzio. E deve essere qualcuno capace di assicurare nel tempo le stesse garanzie che il Consorzio assicura.

Fra 10 anni ci sarà ancora il Consorzio? E, soprattutto, ci potrà essere ancora una Pallacanestro Varese senza il Consorzio?
Rispondo all’ultima domanda. Alle condizioni attuali, no: senza Consorzio non ci sarà una Pallacanestro Varese. Ma non è un problema che si porrà a mio giudizio: Varese nel Cuore esisterà ancora e non farà mai fallire la società, proprio come in tutti questi anni. Spero, tuttavia, di vedere qualcuno ad affiancarlo.

Nel 2016 lei, da consorziato, è diventato amministratore delegato di Pallacanestro Varese: chi o cosa l’ha spinta a questo passo?
Dopo essere entrato in Varese nel Cuore nel 2014, nel suo cda un anno dopo e aver dato una mano negli uffici della società a inizio 2016, quello di far parte del cda di Pallacanestro Varese, ristrutturato dopo Chalon, è stato uno sbocco naturale: alle sue porte non c’era certo la coda, ma io mi sono sentito quasi in dovere di farmi carico di questa responsabilità. E mi ha inorgoglito farlo: un tifoso, un appassionato, penso non possa chiedere di più che essere chiamato a fornire un contributo nella realtà sportiva che ama. Forse solo giocare con la sua maglia, ma diciamo che sono sempre stato abbastanza scarso sul parquet… 

Ci sono delle scelte che non rifarebbe in tale ruolo?
Sì, anche se mi prendo la responsabilità di averle fatte. Sono scelte riguardanti la composizione del cda stesso di Pallacanestro Varese, scelte che non hanno permesso di lavorare come avrei desiderato. E inoltre, col senno di poi, non uscirei dal consiglio di amministrazione di Varese nel Cuore, passo peraltro doveroso, una volta entrato in società, per evitare conflitti di interesse. Questo perché con Alberto Castelli, Andrea Crocella e tutti gli altri consiglieri ho invece sempre lavorato molto bene. E continuerò a farlo in futuro, se sarà necessario.

E scelte che rivendica, al contrario?
Diverse. E tra esse tutte quelle, magari impopolari, magari scomode, che hanno contribuito a tenere in piedi una struttura che stava affondando. Forse, da non varesino, ho posseduto un vantaggio: non avevo rapporti da mantenere o persone da frequentare che avrei potuto deludere. Io, semplicemente, arrivavo in città, parcheggiavo, lavoravo e me ne andavo alla sera. Non avevo nulla da giocarmi se non la sopravvivenza della società…

…che, proprio in quegli anni (fine 2016 e 2017), è stata a forte rischio…
Nei primi giorni di luglio 2017, il Consorzio ha reperito 613 mila euro - cifra indicata dalla Comtec come conditio sine qua non per potersi iscrivere al successivo campionato - in fretta e furia, si è presentato davanti al notaio Giani e ha ripianato il debito esistente. Quattro giorni dopo, per una cifra che constava meno della metà della nostra, Caserta è sparita dal basket…

…A un passo dal baratro, dunque, anche se alcuni fanno finta ancora oggi di non saperlo…
Sì, si è corso un grosso pericolo. All’inizio dell’annata 2016/2017 non avevamo sotto controllo la situazione dei conti e ci siamo trovati a febbraio 2017 ad avere un contesto finanziario disastroso, dovuto non soltanto alla gestione in corso ma anche a quelle precedenti. Lì Varese nel Cuore, lo si può affermare con estremo orgoglio, ha salvato la Pallacanestro Varese. Dal 2017 in poi, invece, pur avendo i bilanci sempre in rosso, cosa fisiologica, abbiamo sempre tenuto sotto controllo il passivo: sappiamo quando e dove si deve intervenire per non saltare. 

Restando in tema di sliding door imboccate in una determinata direzione, ce n’è stata un’altra assai significativa in questi 10 anni di Consorzio?
La più importante, presa tutti insieme, è stata quella di blindare inizialmente la società e impedire l’ingresso di nuovi soci (prima proposta di Gianfranco Ponti nel 2015 ndr). Una scelta criticata da tanta persone che tuttavia non conoscevano le condizioni reali dietro ai possibili ingressi: in quel momento, per il bene di Pallacanestro Varese, il Consorzio ha fatto bene a mantenere il 100% delle quote.

Il momento sportivo più bello?
Per me, in assoluto, la vittoria contro Cremona nel girone di ritorno del campionato 2017/2018, vittoria che ci ha garantito l’accesso ai playoff con un turno d’anticipo dopo un anno di estrema sofferenza. Ricordo che piansi, seduto sui seggiolini del palazzetto: quel risultato mi/ci ripagava di tutte le sofferenze provate. Rammento con grande piacere anche l’unico successo esterno ottenuto in Champions League l’anno prima, a Radom, in Polonia, perché conquistato con il nome della mia azienda sulla canotta. Infine - ovviamente - anche la cavalcata in Fiba Europe Cup del 2016, bellissima esperienza bruciata dagli ultimi due minuti di finale gestiti in modo pessimo.

Quello più brutto, invece?
Proprio Chalon: nel finale non siamo riusciti a smuovere l’inerzia di una partita che avevamo praticamente già vinto. Peccato, perché quella vittoria sarebbe stata la degna chiusura della gestione di Stefano Coppa, un presidente che avrà sicuramente avuto i suoi torti, ma che ha voluto a tutti i costi, contro tutto e tutti, partecipare alla Fiba Europe Cup. In tanti l’avevano snobbata quella coppa, ma poi, la sera della finale, in piazza Monte Grappa c’erano 2000 persone ed erano pieni di gente anche i balconi. Merito solo suo.

Il giocatore simbolo di questi 10 anni?
Mi sono subito affezionato molto ad Achille Polonara, atleta che secondo me ha ancora delle potenzialità inespresse. E poi ho avuto una grande passione per due guardie, Banks e Avramovic… Ma se devo considerare tutto, anche lo spessore umano, non posso che rispondere Giancarlo Ferrero: lui si è sempre sentito parte di questa società.

E il più deludente?
Roko Ukic, molto deludente a livello umano. E, sempre a livello umano, come allenatore, non posso che dire Paolo Moretti.

Persone da ringraziare?
Cecco Vescovi, in primis. Senza di lui, e senza Michele Lo Nero come braccio armato, probabilmente Varese nel Cuore non sarebbe mai nato. Poi tutti quei consorziati che non hanno mai voluto apparire, e quindi nemmeno in questa occasione farò il loro nome, ma hanno contribuito a salvare la Pallacanestro Varese più di tanti altri che invece compaiono sui giornali. Il vero consorziato è così: fa e non lo dice, c’è nel momento del bisogno ma non chiede visibilità extra. Per ciò che riguarda la società, infine, Mario Oioli, persona che si spende davvero tanto per la causa ma non appare mai. A lui, tra l’altro, mi lega un episodio che finora non ha trovato l’onore delle cronache…

Quale?
Riguarda Chris Wright. Giocatore che ho amato molto, ma che ho dovuto licenziare per doping  (aveva preso dei farmaci vietati per curare i suoi problemi di fatica legati alla sclerosi multipla ndr): fu la prima decisione presa da amministratore delegato di Pallacanestro Varese. E fu una mossa considerata cinica, contestata e da me assai sofferta, ma purtroppo doverosa: poche settimane prima c’era stato il caso Faye, completamente diverso, e due casi di doping nella stessa stagione avrebbero comportato anche grossi problemi a livello etico con i nostri sponsor. Sono molto felice di aver “rimediato” dopo qualche mese: davanti alla procura del Coni, a Roma, non solo sono riuscito - insieme proprio a Mario Oioli e al dottor Marcolli - a far capire che il comportamento della società era stato esemplare nel gestire la situazione, ma anche che lo stesso Wright non aveva alcuna colpa specifica: si era solo fidato di un bravissimo neurologo, esterno però al mondo del basket. Il fatto che sia potuto ritornare a giocare mi ha reso molto felice.

Cosa non è mai stato scritto di Varese nel Cuore?
Oh, diverse cose. Ma per il bene dello stesso Consorzio e della Pallacanestro Varese è giusto che continuino a rimanere sotto traccia…

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Fabio Gandini


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